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Rino Foschi sul Palermo: "Non può accontentarsi della B, a gennaio serve qualcosa in difesa"
Rino Foschi, ex direttore sportivo fra le altre di Genoa e Palermo, è intervenuto a Sicily In The Box:
Direttore, partiamo da quanto la convince o meno la squadra di Dionisi.
"È ancora presto per dirlo. È una buona squadra, capace di fare un buon campionato, ma finora lo sta affrontando a corrente alternata. Ha già avuto qualche problema e probabilmente attende il mercato invernale per migliorarsi.
Lo stile del City Group di non esporsi mi avrebbe fatto sentire come un leone in gabbia?
Sì, e vi dico che a quelle condizioni non sarei rimasto. Con Zamparini era diverso: lui era venuto a Palermo da Venezia per fare calcio con passione e con il desiderio di farlo nel modo più corretto possibile. I risultati li abbiamo ottenuti lavorando con questa filosofia.
Invece, il City Group, che possiede 11-12 club, gestisce anche il Palermo, la quinta città d’Italia. Non percepisco la stessa passione. Io sono un passionale e lo ero anche ai tempi di Zamparini. Non potrei mai lavorare con il City Group, non perché non li rispetti – anzi, li invidio perché hanno il Palermo in mano – ma perché credo che in una piazza come Palermo serva una passione particolare. Questo, invece, mi sembra solo business. E mi fermo qui".
Se lei fosse direttore del Palermo, oggi, che mercato farebbe a gennaio?
"Il Palermo è una buona squadra, questo è evidente. Però ci sono cose da completare, soprattutto in difesa. Non voglio fare il professore, ma voglio bene al Palermo e credo che anche loro vogliano andare in Serie A. Palermo non è una città qualsiasi che può accontentarsi della Serie B.
A gennaio farei di tutto per sistemare le carenze. C’è anche il problema di alcuni giocatori pagati tanto che non stanno rendendo come dovrebbero, mentre altri, come Brunori, finiscono in panchina quando meriterebbero più spazio. Se hai il Palermo in mano, devi fare il possibile per portarlo in Serie A. Il City Group ha i mezzi e deve sfruttarli".
Perché la società non ammette che l’obiettivo è la Serie A diretta e si parla solo di migliorare i piazzamenti scorsi?
"Credo vogliano mantenere i piedi per terra. Io mi aspetto che il loro intento sia comunque quello di fare il massimo. Ricordo il primo anno con il Palermo: cambiammo allenatore dopo poche partite, prendemmo Guidolin, e a gennaio dichiarammo apertamente di voler andare in Serie A. Ci riuscimmo, dopo 34 anni di attesa.
Oggi i tempi sono cambiati. Cosa dovrebbero dire loro? Detto questo, non mi piace – e non mi riferisco solo al Palermo – questa tendenza a lasciare i club italiani in mano a modelli stranieri. Sono critico verso questo approccio. Il calcio è diventato business, ma Palermo è la quinta città d’Italia e non si può scherzare. Ribadisco: i gruppi stranieri non trasmettono quella passione necessaria per fare il massimo".
Perché Rino Foschi è ancora a casa?
"Questa per me è una ferita profonda, ma ci tengo a rispondere chiaramente. Zamparini, nel suo ultimo anno, mi chiamò perché aveva dei problemi e io accettai di tornare per dare il massimo. Durante la stagione 2018/2019 abbiamo fatto un buon campionato, sempre in zona playoff, e li avevamo conquistati sul campo. Poi venni a sapere che qualcuno stava tramando per impedirci di partecipare ai playoff, usando una vecchia questione legata a Zamparini. Alla fine di quella stagione eravamo in regola con tutto, avevamo pagato tutto. Poi è arrivata una nuova proprietà, e io sono stato licenziato. Ho detto quello che pensavo, qualcuno si è offeso, e ora ho ben tre processi in corso. Sono orgoglioso di aver combattuto da solo contro tutto e tutti. Ho persino un processo per il periodo in cui fui presidente, nonostante fossi in regola con ogni cosa. Eppure, i playoff ce li hanno negati. Lottavo con pochissimo pubblico: con 10.000 paganti sarei andato in Serie A senza fare i playoff, ma spesso giocavamo davanti a 1.500-2.000 spettatori.
Quello che mi hanno fatto è gravissimo. Sono ancora a casa perché ho detto la verità e per questo ho dei processi in corso. È una ferita aperta. Grazie per avermi dato l’opportunità di dirlo. Quell’anno era tutto in regola e c’era tanta passione.
Sono orgoglioso di aver vinto 7 campionati nella mia carriera, sempre lavorando in modo serio e regolare. Accettai il ruolo di presidente solo perché Zamparini me lo chiese, ma quel ruolo fu usato per farmi fuori. Forse non si aspettavano nemmeno che io riuscissi a conquistare i playoff. Solo col tempo qualcuno ha avuto il coraggio di dire: ‘Forse è stato ingiusto negare i playoff al Palermo’".
Direttore, partiamo da quanto la convince o meno la squadra di Dionisi.
"È ancora presto per dirlo. È una buona squadra, capace di fare un buon campionato, ma finora lo sta affrontando a corrente alternata. Ha già avuto qualche problema e probabilmente attende il mercato invernale per migliorarsi.
Lo stile del City Group di non esporsi mi avrebbe fatto sentire come un leone in gabbia?
Sì, e vi dico che a quelle condizioni non sarei rimasto. Con Zamparini era diverso: lui era venuto a Palermo da Venezia per fare calcio con passione e con il desiderio di farlo nel modo più corretto possibile. I risultati li abbiamo ottenuti lavorando con questa filosofia.
Invece, il City Group, che possiede 11-12 club, gestisce anche il Palermo, la quinta città d’Italia. Non percepisco la stessa passione. Io sono un passionale e lo ero anche ai tempi di Zamparini. Non potrei mai lavorare con il City Group, non perché non li rispetti – anzi, li invidio perché hanno il Palermo in mano – ma perché credo che in una piazza come Palermo serva una passione particolare. Questo, invece, mi sembra solo business. E mi fermo qui".
Se lei fosse direttore del Palermo, oggi, che mercato farebbe a gennaio?
"Il Palermo è una buona squadra, questo è evidente. Però ci sono cose da completare, soprattutto in difesa. Non voglio fare il professore, ma voglio bene al Palermo e credo che anche loro vogliano andare in Serie A. Palermo non è una città qualsiasi che può accontentarsi della Serie B.
A gennaio farei di tutto per sistemare le carenze. C’è anche il problema di alcuni giocatori pagati tanto che non stanno rendendo come dovrebbero, mentre altri, come Brunori, finiscono in panchina quando meriterebbero più spazio. Se hai il Palermo in mano, devi fare il possibile per portarlo in Serie A. Il City Group ha i mezzi e deve sfruttarli".
Perché la società non ammette che l’obiettivo è la Serie A diretta e si parla solo di migliorare i piazzamenti scorsi?
"Credo vogliano mantenere i piedi per terra. Io mi aspetto che il loro intento sia comunque quello di fare il massimo. Ricordo il primo anno con il Palermo: cambiammo allenatore dopo poche partite, prendemmo Guidolin, e a gennaio dichiarammo apertamente di voler andare in Serie A. Ci riuscimmo, dopo 34 anni di attesa.
Oggi i tempi sono cambiati. Cosa dovrebbero dire loro? Detto questo, non mi piace – e non mi riferisco solo al Palermo – questa tendenza a lasciare i club italiani in mano a modelli stranieri. Sono critico verso questo approccio. Il calcio è diventato business, ma Palermo è la quinta città d’Italia e non si può scherzare. Ribadisco: i gruppi stranieri non trasmettono quella passione necessaria per fare il massimo".
Perché Rino Foschi è ancora a casa?
"Questa per me è una ferita profonda, ma ci tengo a rispondere chiaramente. Zamparini, nel suo ultimo anno, mi chiamò perché aveva dei problemi e io accettai di tornare per dare il massimo. Durante la stagione 2018/2019 abbiamo fatto un buon campionato, sempre in zona playoff, e li avevamo conquistati sul campo. Poi venni a sapere che qualcuno stava tramando per impedirci di partecipare ai playoff, usando una vecchia questione legata a Zamparini. Alla fine di quella stagione eravamo in regola con tutto, avevamo pagato tutto. Poi è arrivata una nuova proprietà, e io sono stato licenziato. Ho detto quello che pensavo, qualcuno si è offeso, e ora ho ben tre processi in corso. Sono orgoglioso di aver combattuto da solo contro tutto e tutti. Ho persino un processo per il periodo in cui fui presidente, nonostante fossi in regola con ogni cosa. Eppure, i playoff ce li hanno negati. Lottavo con pochissimo pubblico: con 10.000 paganti sarei andato in Serie A senza fare i playoff, ma spesso giocavamo davanti a 1.500-2.000 spettatori.
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